COLLEBEATO
COLLEBEATO (in dial. Cobiàt, in lat. Collis Beati)
Borgata della bassa Valtrompia a N di Brescia, sulla destra del Mella, ai piedi di un colle coltivato, un tempo, a vigne e frutteti. E' dispersa in una superficie comunale di Kmq. 5,30. Si trova a 5 Km. da Brescia e a 182 m.s.m. Abitanti (Collebeatesi): 542 nel 1766, 1162 nel 1861, 1169 nel 1871, 1179 nel 1881, 1339 nel 1901, 1536 nel 1911, 1716 nel 1921, 1998 nel 1931, 1931 nel 1936, 2362 nel 1951, 2359 nel 1961, 2994 nel 1971 (862 fam., 1465 maschi, 1529 femmine), 78 add. all'agric., 1074 add. ad altre attività, 1842 non attivi, 2990 pop. pres. Il Paese è composto di due gruppi di case: Villa di Sopra (o mezzo paese di sopra) e Villa di Sotto (o mezzo paese di sotto), raccolti in una conca, disposta ad anfiteatro formata dall'ansa del Mella. Il nome del borgo è Cubiatto nel 1014, Cubiate nel 1019, Cubiado nel 1186 e 1194, Cobiado nel 1237 ecc, e alla fine del sec. XVI.
Il paese si distende ai piedi della collina "Il Peso". Il nome di Collebeato è stato creato solo nel sec. XVII. Potrebbe derivare dal latino copula - basso latino legame, unione o da cobia - coppia, significando l'unione delle due frazioni o più semplicemente dal latino cobiat - accoppiato. L'Olivieri ha pensato al nome romano Colobius. E' comune autonomo. La parrocchia fa parte della vicaria di Concesio nella Zona (XV) della Bassa Valtrompia. Fin dall'antichità il territorio fece parte del pago romano e poi della pieve di Concesio, che, in tempi antichissimi, aprì, lungo la strada romana che da Ponte Crotte saliva a Urago, Collebeato e per scendere a S.Vigilio valicava la piccola sella sulla quale venne costruito un nucleo assistenziale, ossia una diaconia dedicata a S.Stefano, il cui nome rimase poi ad una residenza estiva dei monaci di S.Faustino e delle Grazie. Particolare ruolo ebbe anche la sella dei Campiani che mette in comunicazione Collebeato con Cellatica e Gussago. Una tradizione locale vuole che essendo interrotto il ponte Crotte vi sia transitato Carlo Magno durante il suo trasferimento in direzione delle Giudicarie. Ai Campiani sorse anche un casamento fortificato detto Castello, poi trasformato in casa signorile ora di proprietà Barbi. Con i rivolgimenti politici che seguirono, il territorio fece parte del demanio pubblico. Passato ai re longobardi venne donato con Gussago, Rodengo e Saiano, al Monastero di Leno perché provvedesse alla bonifica dei terreni abbandonati o paludosi incentrati intorno alla chiesa di S.Paolo. Ad essi venne confermato con suo decreto imperiale da Enrico II nel 1014. In pratica al monastero di Leno venne donata la metà inferiore del territorio, la più paludosa, mentre la metà superiore passò in proprietà del vescovo e poi del comune di Brescia e della vicinia di Collebeato. Parte dei beni vescovili che dovevano far perno intorno alla diaconia di S.Stefano, vennero donati fin dal sec. IX dal vescovo Ramperto al Monastero di S.Faustino, che edificò anche una cappella dedicata appunto a S.Faustino e che, secondo il Guerrini, dovette sorgere dove oggi esiste una casa colonica che ancora appartiene al beneficio della prepositura di S.Faustino e che si trova sul versante di S.Vigilio, poco distante da S.Stefano. Il monastero di Leno vi mantenne proprietà fino al sec. XV, cioè fino all'epoca della sua decadenza. Nel sec. XII l'abate di Leno tentò anzi di avere giurisdizione su tutte le tre chiese di Collebeato e cioè, oltre che su quella di S.Paolo anche su quella di S.Faustino e di S.Stefano che erano officiate da cinque preti, tutti dipendenti dalla pieve di Concesio e dal vescovo di Brescia al quale spettava la decima oltre che la giurisdizione sul territorio, segno della avanzante decadenza del monastero di Leno. In pratica a Collebeato esisteva una specie di collegio di Chierici e cioè una specie di capitolo. Nel 1024 e ancora nel 1123 vi aveva beni anche il monastero di S.Eufemia. Per l'esistenza di un terreno paludoso nella parte pianeggiante i primi nuclei abitati si concentrarono sulle alture e ai piedi delle stesse. Caratteristico il complesso dei Campiani ed altri casamenti a Campianelli (fra cui la restaurata casa Barbi). Il primo abitato al piano si sviluppò dapprima ad E della strada medievale tracciata da ponte Crotte alla Pendolina e al Conicchio. A ricordo di questa strada resta il Carrobbio (l'antico Quadrivium). Poco lontano vi è la localita "Sguass" che ricorda l'antico guado che si trovava sulla strada che da Collebeato conduceva a Concesio. A S.Stefano ebbero villeggiatura i Benedettini di S.Faustino che vi costruirono nel sec. XV un rilevante complesso ancora oggi individuabile nel settore O e che poi venne prolungato ed arricchito di portici e di loggette di gentile eleganza. Dai benedettini passò poi ai Gerolomini del convento delle Grazie che lo scelsero come luogo di villeggiatura e di riposo passando nel 1668 ai Gesuiti che nel 1680 circa, lo ingrandirono. A metà del settecento restaurarono ed abbellirono anche la cappella con begli stucchi in cui capitelli, conchiglie, cartigli sembravano muoversi e generare via via nuove decorazioni con ricami, ghirigori, arabeschi di singolare grazia e con ritmo e fantasia estrosa.
Già nel 1304 un Pietro Martinengo aveva sposato certa Giacoma de Beldocaris, possidente a Collebeato. Ma fu soprattutto Antonio Martinengo da Padernello che nel 1453 acquistò una vasta possessione a Collebeato che lasciò per metà al figlio Gaspare. Altri beni passarono ai Martinengo della Pallata. I Martinengo vi eressero due belle ville di cui una appartiene ai conti Zoppola-Bona mentre l'altra ospita l'asilo infantile. Fra le famiglie più antiche i documenti del sec. XV registrarono i Trivella e i Picinelli. Nel sec. XVIII tali famiglie erano scomparse per dar luogo ai Testori, Raccagni, Bono, Gandelli, Antonelli, Rovetta, Seccamani, Franzini, Bonera. I Martinengo della Pallata allargarono poi la loro proprietà. Nel 1548 Gaspare denunciava di avere "casamento da padrone". Nel 1554 possedevano ai Campiani 90 piò di bosco non esenti, che poi passarono agli Arrighi. La villa detta "La Palazzina" (oggi asilo) era nel 1548 di Gaspare Martinengo della Pallata dal quale passò al nipote Lodovico e poi al di lui figlio Giulio. Nella divisione dei figli di Giulio la villa toccò a Lelio (nato nel 1579 c.) che la trasmise alla figlia Cecilia sposa al conte Martinengo da Barco. La vicinanza con Brescia, coinvolse alcune volte anche Collebeato nelle vicende della città. Nel novembre 1438 il paese venne occupato dall'esercito visconteo guidato dal Piccinino e servì come base del tremendo assedio a Brescia. Nel 1446 per le benemerenze acquisite con l'appoggio alla causa veneta, la Repubblica donava a Bonibella, figlio di Galvano di Nozza, beni in Collebeato. Nel 1512 vi avvennero scontri fra veneti e francesi. Notevole il ruolo avuto da Collebeato nelle vicende risorgimentali. Parecchi collebeatesi parteciparono alle Dieci Giornate e Tito Speri infatti trovò in paese appoggi generosi per la sua successiva azione insurrezionale. Nel brolo, dietro il palazzo Martinengo, come nelle vallette vicine, tenne istruzioni militari pratiche in vista della rivolta contro l'Austria. Dopo l'uccisione dello Speri, Pietro Botticini fattore del conte Zoppola continuò la sua attività clandestina e nel 1856 accolse, trasportati da Alessandro Sora nel suo teatrino, i caratteri e il rullo tipografico per la stampa di manifestini incendiari, dettati da Faustino Palazzi e da Carlo Giustacchini. Nel roccolo dei sacerdoti don Luigi e Simone Quaglieni sulla collina del Cereto (Saret) rimasero nascoste le armi usate durante le Dieci Giornate.
La parrocchia, dopo essersi resa autonoma dalla pieve di Concesio, era già eretta agli inizi del sec. XV col titolo di S.Paolo, dotata di due benefici, uno parrocchiale e uno curaziale. Nel suo ambito esisteva anche la chiesa di S.Maria "senza cura" il cui beneficio venne conglobato in quello parrocchiale così che la chiesa portò il titolo di S.Maria e di S.Paolo. Agli inizi del sec. XVI gran parte del beneficio parrocchiale passò al monastero di S.Cro ce. L'unione del beneficio di S.Paolo fu ottenuta nel 1509, con bolla di papa Giulio II del 26 febbraio, dalla priora Francesca Caprioli, la quale si era impegnata in gravi spese per la fabbrica del nuovo monastero e per il mantenimento della fiorente comunità religiosa nella quale spiccava la personalità di suor Laura Mignani, conclamata dal popolo come beata. Da allora il parroco di Collebeato venne nominato e mantenuto dalla badessa di S.Croce, mentre tutto passò al monastero compresa la casa (oggi fondaco di vino) sulla quale sta dipinta una gran croce con la data 1702, stemma del Monastero. Dal 1771 il parroco venne nominato dal vescovo pur rimanendo mercenario del monastero fino a quando questo fu soppresso nel 1797. La chiesa di S.Paolo venne ricostruita agli inizi del sec. XVI ed ebbe la cura delle monache di S.Croce. Una lapide del 1577 ricorda ancora due monache, Flaminia e Ottavia Caprioli, sepolte nel cimitero che si trovava vicino alla chiesa. La chiesa venne riedificata nel seicento e di nuovo nel 1700 aveva quattro altari ed era servita da setto-otto sacerdoti. Nel 1801 il conte Gerolamo Silvio Martinengo arricchì il campanile di quattro nuove campane, come indica una lapide che si trova nella torre. La chiesa parrocchiale venne allungata di una campata e dell'abside nel 1895-1896,- per iniziativa del parroco don Giovanni Quaranta, 'mirabilmente coadiuvato, come dice un'epigrafe, dal popolo'. Della nuova costruzione pose la prima pietra l'abate di Pontevico Bassano Cremonesini; il 26 maggio 1895 e il 5 luglio 1896 la chiesa era già completamente finita e benedetta dal vescovo mons. Corna Pellegrini. Assieme veniva costruita la canonica. La chiesa venne poi restaurata e decorata nel 1936 per iniziativa del parroco don Andrea Antomelli e consacrata da mons. Giacinto Tredici il 9 ottobre 1937. Il pittore Cresseri dipinse il grande affresco dell'abside, raffigurante "Il trionfo di Cristo". Angelo Rubagotti eseguì su cartoni del pittore genovese Giovanni Bevilacqua i medaglioni della navata raffiguranti fatti della vita di S.Paolo (S.Paolo nell'Aeropago ecc.). Lo stesso Rubagotti e Giuseppe Trainini provvidero alla decorazione. La chiesa parrocchiale conserva quadri di discreto valore fra cui "Il Redentore tra S.Pietro e S.Paolo" ritenuta copia del Moretto o del Romanino che si trova sul 1.o pilastro di sinistra, "S.Luigi orante", di Antonio Dusi firmata 1754 sul 2.o pilastro, "Agar accettata dal principe" settecentesco o degli inizi dell'ottocento sulla parete laterale dell'altare del S.Cuore, e "Gesù appare alla Maddalena" di composizione cinquecentesca nello stesso luogo a sinistra. Nell'abside incorniciata in una maestosa soasa dominata da colonne in rosso Verona, sta una pala, opera del Galeazzi, da lui firmata "Jo. Bapta Galeacius anno MDCVII" raffigurante la "Conversione di S.Paolo". Sul 1.o altare di destra scendendo sta una bella madonna bizantina; sul lato destro sul 2.o pilastro una tela di autore seicentesco di scuola emiliana raffigurante il "Martirio di S.Bartolomeo", di ignoto autore cinquecentesco; sul 3.o altare "Madonna con Bambino e i SS.Francesco, Antonio abate e Carlo Borromeo" di Antonio Gandino, ai lati "Gesù e la Samaritana" del '500 e la "Cacciata di Agar" del '700 o '800. La vetrata della facciata è di O.Di Prata. In sagrestia stanno una bella tela settecentesca raffigurante "S.Carlo Borromeo e S.Filippo Neri" e bei mobili secenteschi, con preziose suppellettili (candelabri in ferro battuto, in ottone argentato, in legno, lanterne, ostensori, calici, pianete, paramenti ecc., ed un baldacchino tessuto dalle monache di S.Croce). Molta devozione i collebeatesi hanno sempre avuta per il santuario della Madonna del Pianto o della Calvarola così chiamata perché si trovava ai piedi del "calvo" colle di S.Stefano. Nel sec. XV-XVI la chiesetta era dedicata alla Vergine SS. La chiesa rimase semplice oratorio "sine cura". Nelle tradizioni del paese è rimasto il segno di una apparizione della Madonna che portò alla ricostruzione o ampliamento del tempio come ricorda la data MDCCI scolpita sul campanile. Vi è venerata un'immagine cinquecentesca della Madonna in trono con S.Giovannino. Elegantissimo nel disegno architettonico, quasi ottagonale, con tre altari, il santuario e illeggiadrito da una graziosa decorazione, ricca di eleganze settecentesche che, come scrive il Guerrini, sono dovute, in gran parte, al pittore Pietro Scalvini (1718 - 1790) di Brescia, autore degli affreschi da lui segnati con la data 1737 e della bella pala dell'altare laterale di sinistra raffigurante san Gaetano Thiene in gloria con ai piedi S.Fermo martire, firmato Petrus Scalvini d. 1749. Bella è anche la tela di Antonio Dusi raffigurante "Cristo alla Colonna" (1757). Interessanti le stazioni della Via Crucis restaurate dal Marchetti. Nel 1973 il santuario venne ancora completamente restaurato, anche nelle tele e oltre che nell'ambiente. I collebeatesi sogliono chiamare il loro santuario col vezzeggiativo di Madonnina. Una piccola chiesa esiste ai Campiani, costruita e beneficiata, assieme al complesso dell'abitato, dalla nob. Isabella Arrighi morta appena a 26 anni nel 1793. Le colline amene di Collebeato sono sempre state meta di scampagnate anche di associazioni sportive come ricorda una lapide posta sulla sella di S.Stefano che dice: "Il consiglio direttivo /della sezione di Brescia /dell'U.O.E.I. /riconsacra questo campo a Bruno Ugolini /nel nome suo glorioso /i propri soci /caduti per la patria /24-5-1924 - 5-5-1974/. Una croce eretta nel 1901 sul monte Pés o Peso e che domina Collebeato con l'iscrizione: "All'Immortale Re dei secoli /Gesù Cristo /all'alba del sec. XX /il popolo di Collebeato /con santo ardimento /dedica"/. Collebeato conserva cari ricordi dei soggiorni di Giov. Battista Montini, poi papa Paolo VI, che trascorreva parte delle sue vacanze di fanciullo e di giovane in casa Uberti, dove visse e morì la signora Camilla Uberti, morta in concetto di santità. Don Montini celebrò al santuario della Calvarola una delle sue prime messe. Singolari le ville Martinengo, la più antica oggi è quella che ospita l'asilo infantile, edificata come osservano Perogalli-Sandri, agli inizi del Cinquecento come indicano gli elementi stilistici (colonne, capitelli, archi con la ghiera sottolineata, fascia marcapiano alta e costituita ancora da numerose sagome). La facciata aveva decorazioni a fresco ricche di affreschi oggi deteriorate. Vi si intravvedono dipinti di putti che sostengono stemmi dei Martinengo, Bonati ecc. Più recente è l'altra villa Martinengo diventata oggi degli Zoppola Bona, edificata nel sec. XVIII e che attualmente risulta dall'accostamento di due corpi di fabbrica distinti: uno ad E, maggiore per altezza e lunghezza, e un altro aggiunto forse alla fine del sec. XVIII a prolungamento del portico, e con un piccolo appartamento, a conclusione della galleria,nel quale vi sono ambienti decorati a stucchi e affreschi di gusto neoclassico, fra cui un sala affrescata dal Teosa. Lo scalone interno è di impronta marchettiana. Il Cappelletto dice marchettiani anche i disegni delle cornici delle porte e scrive che "La geniale soluzione dell'atrio che le colonne rendono solenne e sembrano dividere intere navate, richiama quello del portico dell'episcopio". Poco distante dalla villa settecentesca sorge un palazzo almeno quattrocentesco, con belle finestre gotiche e con ornamentazioni singolari, finora sfuggito agli studiosi. Amplissimo e lussureggiante il parco che il Sanudo decanta nei suoi Diari. Come pure una certa attenzione meriterebbero l'ex villa Duranti, oggi della Congrega apostolica che, anche se in gran parte trasformata e modificata, conserva ancora linee chiaramente quattrocentesche e conserva ambienti decorati, ampie cantine di rilevante interesse. Solo strutturalmente, nella forma allungata, su un solo lato, ad un piano e con un'immensa cantina l'ex casa di campagna del monastero di S.Croce richiama le sue origini quattrocentesche mentre il cortile e i caratteristici fienili hanno conservato linee più originali. Una bella casa signorile, ora sede del comune, venne lasciata in eredità con vasti vigneti e boschi ai Padri Oblati di Brescia in ricordo di P.Giuliani, dalla scrittrice prof. Paola Ferrari e dalla sorella Silene.
L'economia fu, fino a pochi decenni fa, eminentemente agricola, il terreno fu ricco di cereali, gelsi e frutta. Nel 1483, ad esempio, vi si macinava grano per il fabbisogno dell'esercito veneto accompagnato in territorio bresciano. Lo sviluppo agricolo fu reso possibile anche dalla roggia Cobiada che oltre ad irrigare i terreni circostanti alimentava tre molini "di sopra", "di mezzo", "di sotto". Uno specchio fedele dell'agricoltura (e dell'alimentazione) di Collebeato nel sec. XVI è fornito dalla "Massera da be" che canta le gesta culinarie di Flor de Coblat (Collebeato) e che è stata attribuita ad un Martinengo. Con la fine del sec. XVIII, specie in forza delle leggi di soppressione delle congregazioni religiose, la proprietà si andò sempre più concentrando in grosse aziende, riducendo il fenomeno dell'affittanza e della mezzadria, prima molto diffuso, per dar posto al salariato agricolo. Soppresso infatti il monastero di S.Croce nel 1797, le proprietà che esso aveva in Collebeato passarono a privati, ed in particolare ai Sorelli fino a quando Simone Carlo Sorelli con testamento del I giugno 1888 lasciò l'intera sua proprietà (280 piò circa, cascine, ville), all'Ospedale civile di Brescia, costituendo un legato per le partorienti del paese, dei Duranti alla Congrega Apostolica. La "Palazzina" con annesso giardino e alcuni immobili vennero con atto del 21 ottobre 1919 n. 4008 (repertorio del notaio Emilio Boletti) acquistati dal rag. Filippo Rovetta per erigere l'asilo infantile che venne eretto in ente morale il 23 ottobre 1974 n. 1856 e intitolato allo stesso cav. Filippo Rovetta. La casa di riposo costruita grazie al lascito della sig. Giulia Seccamani Comini, diretta dalle Suore Dorotee, venne ampliata nel 1974 su disegno dell'ing. Vittorio Montini. Il patrimonio dei Martinengo alla morte del conte Gerolamo Silvio, avvenuta nel 1833, passò al cugino Alessandro Molin e attraverso la figlia di questi Maria, sposata al Conte Pancera di Zoppola ai discendenti di questi che l'ebbero definitivamente con atto del 6 luglio 1861. L'altra villa di Collebeato detta "La Palazzina" passò dagli eredi Martinengo al nob. Annibale Maggi che con testamento del 26 dicembre 1855 la lasciò, con la casa signorile e i beni annessi, alla Congrega apostolica. Le proprietà di S.Stefano e di S.Croce ecc. passate dopo le soppressioni napoleoniche al nob. Luigi Torre e poi a Simone Carlo Sorelli vennero da questi, con testamento 14 aprile 1888, lasciate all'Ospedale Civile di Brescia, al quale passarono anche con testamento di Bortolo Faccinelli del 5 ottobre 1933. Si trattava in gran parte di boschi cedui che poi l'Ospedale bonificò e fece fruttificare, grazie soprattutto all'iniziativa del cav. Filippo Rovetta che riscattò anche il terreno alluvionale lungo il Mella di cui fece dei pescheti, e dei vasti possedimenti fece una azienda modello, affidandone la conduzione a 27 famiglie di mezzadri. Recentemente questa proprietà, in gran parte abbandonata passò ai Barbi. Altre rilevanti aziende furono quelle dei Quaglieni e dei Giovanardi. Fiorente fu specie nel passato la coltivazione della vite in cui si distinsero gli Zoppola nel 1904 con la medaglia d'oro per l' ottimo vino e la Congrega Apostolica, ma che oggi viene tenuta viva dalla volontà di alcuni coltivatori (Botticini, Antonelli, Rodella, ecc.). Il terreno era ricco anche di funghi specialmente di ovoli detti "cucù". La coltivazione delle pesche ebbe un notevolissimo rilancio con l'introduzione dal Canada a Collebeato da parte del cav. Filippo Rovetta nel 1919 di una specialità. Da semplice tentativo la coltivazione, monopolizzata da pochi proprietari, assorbì anche buona parte della manodopera locale. Durò fino al 1940 circa e poi andò definitivamente declinando. Negli anni '50 grazie all'iniziativa del cav. Facchetti, agente dell'azienda agricola degli Spedali Civili, risorse la coltivazione dell'olivo, diventato rado anche ai Campiani. Segno del clima felice di Collebeato è la coltivazione della camelia denominata la "Vergine di Collebeato" (dedicata alla Madonna della Calvarola). Già coltivata nel sec. XIX dal nob. Luigi Torre emigrò a Cannero sul Lago Maggiore, da dove la riportò a Collebeato il cav. Firmo Bolpagni. Le alture di Collebeato sono ricche di pietra litografica che s'impose all'esposizione di Parigi nel 1855. Era stato il dott. Claro Malacarne nel 1828 a suggerire l'applicazione agli usi litografici della pietra di Collebeato che somiglia alla pietra litografica di Pappenheim. Il Cocchetti poi nel 1857 indicava "la pietra marnosa sparsa di dendriti nere e giallognole, come suscettibile d'ottimo pulimento e non cede all'alberese della Toscana".
Sfruttando la roccia della località Jana sulle pendici del monte Sasso sorse nell'ottobre 1956 uno stabilimento per la produzione di cemento con la "Cementi Brescia" (CEMBRE) che venne però chiusa nel 1965 per gli inconvenienti ecologici che provocava. Notevole la presenza della industria Armi Galesi che dal 1910 ha offerto al mercato una vasta gamma di fucili da caccia e di pistole occupando nel 1950 una cinquantina di operai, ma oggi trasferita altrove. Vi operano fabbriche di recente costituzione come la CABO (Capra e Botto) (per apparecchi di rettifica, affilatrice a testa girevole e mandrino inclinabile), ARS (Autoradio Service) per la fabbrica di antenne e accessori per autoradio, il salumificio F.lli Volpi, la F.A.I.B. che fabbrica peltri esportati anche su mercati stranieri, la F.lli Saiani (viterie, minute, tornite di precisione), la Metalars (argenteria). Dopo essersi sviluppata è scomparsa invece la lavorazione di materie plastiche. Molta manodopera grava su Brescia e Gardone V.T. Patrono è S.Paolo convertito (25 gennaio).
Parroci: Stefano Faustini (1600), Giobatta Bonera (1616), Antonio Chiarelli (1621), Giobatta Moneta (1627), Faustino Ghidini (1631), Andrea della Bianca (1635), Alessandro Cusano (1637), Giobatta Gamba (1638), Giulio Bono (1641), Giov. Antonio Rossi (1652), Bartolomeo Bonari (1654), Giov. Maria Freschi (1661), Giulio Arrighino (1663), Giuseppe Gilberti (1665), Orazio Benedetti (1667), Bortolo Mezzana (1669), Paolo Reccagno (1671), Andrea Ongaro (1679 fino al 1700), Don Francesco Rovetta (1814 - 1837), Don Giovanni Nicolini (1837 - 1848), Don Luigi Quaglieni di Collebeato (Economo spirituale) (1848), Don Filippo Rovetta (1849 - 1865), Don Michele Bontempi (1866 - 1890), Don Giovanni Quaranta (1891 - 1912), Don Abramo Rantini (1913 - 1929), Don Andrea Antomelli (1930 - 1958), Don Severino Cardoni (1959 - 1969), Don Tommaso Melotti (1970).
Sindaci dal 1860: Uberti Antonio Lodovico; Dallola dott. Pietro; Ferrari avv. Raffaele; Quaglieni Luigi; Carrara Santo; Clinger rag. Silvio; Pancera di Zoppola dott. Emilio; Rigosa Eugenio; Franzini Giovanni. Podestà: Rigosa Francesco. Sindaci dal 1945: Del Bono Luigi; Pedrini Luigi; Frassine Luigi; Pedrotti Luigi; Bolpagni Firmo; Rosati Antonio; Fontana Gianfranco; Andreoli Domenico.